Bioparco di Roma: poco da festeggiare
Due giorni fa ha festeggiato cent’anni, ma i suoi ospiti rimangono tristi, come i prigionieri di tutti gli zoo del mondo. Parliamo del Bioparco di Roma, che negli anni Novanta ha cambiato il proprio nome, ma niente affatto la sostanza, diventando oggetto di infinite contestazioni e denunce da parte degli animalisti per aver disatteso impegni e causato sofferenze e morte.
I presupposti del rinnovamento nascevano dalla prima campagna elettorale di Rutelli sindaco. Egli dichiarò infatti che lo zoo andava chiuso, sia perché obsoleto nelle strutture e negli intenti, sia perché afflitto da sempre maggiori problemi economici. Una volta eletto, riunì una commissione scientifica composta da esperti quali Carlo Consiglio, Carla Rocchi, Bruno Cinini e Gianni Tamino, per immaginare un futuro adeguato per lo spazio e soprattutto per gli animali che vi erano accolti. Il progetto che ne scaturì, approvato con delibera del ’94 e forse ancora oggi alla base dello statuto del Bioparco, prevedeva l’istituzione di un centro di conservazione e di ricerca limitate alle specie e ai soggetti già presenti, per studiare le migliori strategie di mantenimento e per reimmettere gli animali in centri di recupero sulla base dei programmi internazionali. Superata l’idea tardo ottocentesca del serraglio, il Bioparco bandiva dunque ogni intento ostensivo e doveva inoltre divenire centro di accoglienza di animali indesiderati o sequestrati dalle forze dell’ordine, sterilizzare quelli meno adatti alla cattività, non acquistare più esemplari esotici.
Ma solo pochi mesi dopo l’inaugurazione dell’aprile ’98, a causa del moltiplicarsi dei decessi degli animali, dovuti a una serie di eutanasie che si sospettarono finalizzate a ricavare spazio, e tanti riconducibili a incuria, incompetenza e condizioni di vita del tutto inadeguate (quantificati in 600 fino al maggio ’99 quando, a causa delle proteste, i bollettini ufficiali dei decessi furono sospesi) fu necessaria la rapida istituzione di una commissione straordinaria di vigilanza, che si pronunciò molto duramente contro il Bioparco. Nulla però cambiò nei fatti, e la commissione fu smembrata. Solo molta indignazione a seguito delle dichiarazioni dell’Avvocato Arnone, allora presidente della Bioparco S.p.a. per giustificare l’uccisione di un cobra sano infilato nel congelatore, perché “poteva mordere, e in Italia non esisteva antidoto al suo veleno”.
Sì, perché al tempo fu creata appositamente una società per azioni, come se un istituto zoologico dovesse agire in modo lucrativo.
La Bioparco S.p.a. fu dunque costituita al 51% dal Comune di Roma mentre il rimanente 49% era ripartito fra la Costa Endutainement e, in minoranza, il Cecchi Gori Group (più in là uscito) ai quali il Campidoglio, nei fatti, cedette metà di un patrimonio civico e l’usufrutto di una vasta area all’interno di Villa Borghese. Tuttavia la società non procurò denaro, ma al contrario ricevette ingenti finanziamenti pubblici. Nei termini di alcune decine di miliardi in lire, per la precisione 32 solo nei primi due anni, erogati per manutenzione e opere di rinnovamento, cui seguirono altri contributi.
In realtà, fu semplicemente raddoppiato il prezzo del biglietto d’ingresso, e per gli animali, che continuarono a defungere a ritmo sostenuto, non si fece nulla di buono. Si licenziarono gli antichi guardiani e veterinari e si effettuò solo qualche modifica insensata, come il rinnovamento del laghetto dei fenicotteri, dentro cui si misero acqua corrente, una spettacolare cascata e graziosi ciottoli sul fondo. Salvo poi ricordarsi, vedendo gli uccelli accalcati in un angolo nell’impossibilità di camminare sui sassi, che l’habitat dei fenicotteri prevedeva acqua salmastra lagunare e sabbia su cui muoversi. In altri casi fu stata aumentata la visibilità degli ambienti ma non lo spazio effettivo destinato agli animali, i quali ancora oggi, dall’orario di chiusura al mattino successivo, vengono costretti per ragioni di sicurezza in celle di dimensioni infinitesimali.
Dopo dodici anni di sovvenzioni miliardarie, la Bioparco S.p.a. fu trasformata in fondazione, così da continuare ad attingere finanziamenti, in modo meno inopportuno.
A Roma si sono avvicendate le amministrazioni comunali, è cambiato il direttivo dello zoo, ma il Bioparco continua a esibire animali esotici e oggi incrementa la propria economia organizzando chiassose feste a pagamento con enorme disturbo e spavento degli animali (è oltretutto assai stupido e diseducativo proporre feste di compleanno per bambini in un serraglio), eventi impropri che mai si vorrebbero immaginare in un luogo che non rispecchia affatto il senso del proprio nome: parco della vita.
Non esistono zoo allegri: in sé, sono luoghi superati e da abolire.
In modo particolare, il Bioparco è lugubre, gli animali sono prigionieri nelle gabbie di cent’anni fa, in mezzo a una confusione contemporanea. E tutto questo è stato realizzato con i soldi dei contribuenti, ci parla di morte, solitudine e sofferenza, e di accordi traditi.